Trasformazione digitaleVetrina - critico

Il decreto semplificazioni 2021 e la trasformazione digitale. Fu vera gloria?

Riporto tal quale un articolo pubblicato su Linkedin nel 2021, con commenti al decreto semplificazioni 2021 (dl 31 maggio 2021, n. 77)

Qualche giorno fa il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge “recante la governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di snellimento delle procedure“.

Io ho già difficoltà a reperire il testo approvato, ma online fioccano copiosi notizie e commenti sul provvedimento. Faccio riferimento al PDF di una bozza pubblicato come allegato alla notizia dell’approvazione del dl qui: https://www.informazionefiscale.it/Decreto-Semplificazioni-2021-testo-ufficiale-pdf-novita e a notizie come questa: https://www.informazionefiscale.it/Decreto-Semplificazioni-2021-testo-ufficiale-pdf-novita.

Mi limito alle parti che riguardano la “transizione digitale”, mio settore professionale, e cioè alcuni dei primi 5 articoli del titolo II. Lo ammetto: a ogni comparsa di una nuova legge, di una linea guida, di una circolare o di una specifica tecnica mi precipito a leggere velocemente, per vedere se c’è qualcosa che può aiutarmi nel lavoro (contribuire a digitalizzare l’amministrazione comunale di una cittadina di poco più di 48mila anime e il rapporto dell’amministrazione con quest’ultime), per capire se la programmazione e le idee in testa sono ancora attuali ecc.

A chi mi legge, adesso, si aprono due percorsi di lettura: se si vuole avere il quadro completo delle argomentazioni si può leggere tutto (avviso: è lungo, parecchio lungo), se si ha già un quadro criticamente consapevole e consapevolmente critico del contenuto di questo provvedimento e degli ultimi in materia di transizione digitale (che con questo condividono il tenore), si può andare all’ultima parte.

Per punti e asetticamente, tra modifiche al CAD (d.lgs 82/2005) e al dl semplificazioni di luglio 2020 (decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120), questo dl:

  1. modifica il funzionamento della “Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amminsitrazione”: questa avviserà non solo via PEC, ma anche via mail e via app IO.
  2. in tema di domicilio digitale: stabilisce che quando si deciderà di comunicare solo in via telematica con chiunque, allora si dirà anche come attribuire un domicilio digitale a chi non lo ha;
  3. in tema di comunicazione analogica di documenti nativi digitali, interviene sulle regole di composizione della copia analogica del documento informatico destinata alla comunicazione cartacea;
  4. ancora in tema di domicilio digitale: stabilisce che AgID non solo trasferisce i domicili digitali da INAD ad ANPR ma li tieni pure aggiornati;
  5. in tema di SPID: nasce il SGD – Sistema di Gestione Deleghe. Si tratta di un sistema centralizzato, formalmente in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri e praticamente realizzato da IPZS (Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a.) che “consente a chiunque di delegare l’accesso a uno o più servizi a un soggetto titolare” di SPID, tramite l’annotazione di attributi qualificati all’identità digitale del delegato dopo l’acquisizione della delega che il delegante effettua in via telematica o di persona allo sportello di una pubblica amministrazione presente sul territorio.
  6. ANPR: si stabilisce che i Comuni possono fruire di servizi per interagire con i dati di stato civile che hanno caricato su ANPR; lo stesso per le liste elettorali; il rilascio dei certificati in via telematica avviene in esenzione dall’imposta di bollo e senza diritti di segreteria;
  7. ANPR, 2: stabilisce che i Comuni consentono la consultazione dei dati ANPR a chi ne ha diritto tramite la Piattaforma Digitale Nazionale Dati e che si aggiornano i servizi messi a disposizione da ANPR alle p.a. (diverse dai comuni).
  8. amplia l’elenco delle banche dati di interesse nazionale;
  9. rivede il sistema di vigilanza e di sanzioni per violazioni degli obblighi digitali.

Commento dei punti

Commento adesso i punti elencati sopra, partendo dalle impressioni positive. Poi magari approfondisco qualcosa in altra sede.

Punto 3. Secondo me questo è un passaggio chiave del CAD, uno dei rari casi in cui il codice sa essere prescrittivo ai limiti del didascalico e fornisce indicazioni che, se correttamente implementate, risolverebbero alcuni di quei problemi che, lontano dai riflettori, frenano (o danno la scusa per frenare) la digitalizzazione dei procedimenti amministrativi. Dal “dove metto il numero di protocollo sul file firmato?” al “come lo invio al destinatario se non ha la PEC?”, passando da “se lo invio per raccomandata sono più sicuro che arrivi e lo legga”, “nessuno legge i p7m” ecc. La nuova scrittura dei commi da 4-bis a 4-quater dell’art. 3-bis del CAD non supera forse tutti i punti di oscura implementazione, ma, speriamo, potrebbe rinverdire l’attenzione sul tema della produzione di documenti nativi digitali a prescindere dal loro destinatario. Mi riprometto di studiare a breve un’implementazione logico-informatica di queste istruzioni, che abbia come esito anche la creazione di un modello (template) per creare lettere o atti scritti pronti a essere riusati per creare, automaticamente, la copia analogica.

Punto 1. La notifica telematica. Qui si continua a girare intorno alla questione, in una perpretua ammuìna. Intanto, ma ci torno dopo, si modifica qualcosa che ancora non esiste, come se la piattaforma per le notifiche telematiche fosse realtà e si decidesse di darle una rifinitura a qualche aggiustatina qua e là. Soprattutto però, il tema della notifica, piaccia o non piaccia, affonda le sue radici nei meandri del diritto, della dottrina e della prassi e, piaccia o non piaccia (senz’altro ci sono ragioni se è così), oggi come oggi il domicilio digitale è una casella PEC (in automatico dovrei dire anche un recapito SERCQ, ma ne avete mai visto uno?). Quindi, se si vuole partire con le notifiche (intese anche in senso lato come invio di comunicazioni) telematiche, occorre far partire l’indice INAD (quello di cui all’art. 6-quater, per non essere chiari). C’è poco da fare: gli elementi essenziali della notifica sono: spedire bene (al giusto indirizzo), aver certezza del recapito (prova di consegna), possibilmente con data e ora esatte e, sottinteso, spedire un documento ben formato e giuridicamente valido. Partiamo da qui e poi vediamo i dettagli di questa fantomatica piattaforma per le notifiche e quale debba o possa essere la sua funzione o il suo uso: è lo strumento che si fa carico di effettuare la notifica di modo che le p.a. implementino il solo dialogo telematico con la piattaforma e siano sollevate da un po’ di oneri (es.: interfacciamento con INAD e relative policy), oppure è un locus di backup in cui collocare documenti il cui invio via PEC è andato a vuoto, oppure ancora questa piattaforma è il domicilio digitale e gli avvisi via PEC+email+app IO sono solo una promemoria di cortesia per ricordarsi di farvi accesso e controllare cosa è arrivato? Poi, beninteso, potrebbe anche essere auspicabile rilassare un po’ i mille vincoli e i formalismi che incombono sulle notifiche, almeno unificarli per ogni dominio; in altri termini, potrebbe anche essere possibile ipotizzare un’Italia in cui la notifica valida ed efficace a tutti i sensi di legge sia quella che ti arriva su app IO mentre torni a casa sul metrò, ma occorre qualche aggiustamento preventivo che incida su una tradizione secolare.

Punto 2. Domicilio digitale per tutti? I commentatori leggono questo punto come l’obbligo di fornire a chi ne è sprovvisto una casella di PEC. A parte che non si capisce a chi dovrebbe competere questo obbligo (ma ci penserà il decreto, giusto – noi intanto pianifichiamo a sentimento), come non rimpiangere la vecchia postacertificata.gov.it o CEC-PAC? Lì c’era già praticamente tutto, inclusa l’identificazione certa del mittente prima dell’invio, la manifesta riferibilità della casella CEC-PAC a una determinata persona (cosa che la PEC attuale, nonostante certa comunicazione semplicistica, non fa, anche se il gestore PEC ci identifica ben bene prima di rilasciarcela), un abbozzo di repository documentale sicuro per i documenti informatici e, di fatto, il registro di cui all’art. 6-quater (INAD, per essere chiari) era realizzabile in un lampo. Ma era troppo semplice per essere vero e poco mobile-first (perché, si sa, l’e-mail è il sistema multipiattaforma per eccellenza, si potrebbe dire all-first).

Qui una richiesta: molti comuni sono in grado di investire un euro più IVA l’anno per fornire a un cittadino una casella PEC. Molti comuni lo stanno facendo e, nelle more di INAD e della piattaforma, fanno eleggere quella casella PEC come domicilio speciale per i rapporti con il comune, annotandolo sul registro di anagrafe locale (che si può tenere in vita per funzioni non disponibili in ANPR, come questa o, vedi sotto, per collegarci un qualsiasi applicativo, tipo quello che gestisce i tributi). Sarebbe bello avere un cenno dall’alto su alcuni punti: e se il comune lo annotasse in ANPR e quel domicilio eletto come speciale per i rapporti con un comune diventasse domicilio speciale eletto per i rapporti con tutti i comuni subentrati in ANPR? E se quella casella PEC il comune la rilascia previa riconoscimento di persona dell’assegnatario, si potrebbero ritenere, in deroga alla lettura letterale dell’art. 65 del CAD (lettera relativa alla tramissione via PEC-id), le comunicazioni provenienti da quella casella PEC come sicuramente riferibili al titolare della casella, indipendentemente da firme digitali o autografe accompagnate da copia del documento? Queste sì che sarebbero semplificazioni!

Punto 4. A leggere uno potrebbe pensare che in effetti, dopo l’avvio di INAD e le continue interrogazioni di ANPR da parte delle p.a. per recuperare il domicilio digitale di un residente in Italia, si siano verificate alcune anomalie e quindi che , anche qui, ci si stia mettendo una pezza (del resto, è umano, alcuni limiti vengono fuori solo con l’uso intensivo). Ma ci torno dopo.

Punto 5. SGD, l’innovazione più rilevante del dl. “Arriva la delega dello SPID”, “SPID per gli anziani: finalmente i soggetti anziani o con difficoltà possono delegare il proptrio SPID”: questo il tenore di alcune notizie di commento all’epocale novità. A parte la lettura semplicistica (e giuridicamente sbagliata: si delega la partecipazione a un negozio, non l’identità!) e la ricerca (inspiegabile) di sensazionalismo nel diffondere questo tipo di notizie, non sono molto chiari i dettagli di questo strumento, perché naturalmente si rimanda a un decreto. Ma ci torno dopo. Infatti, detto che, a leggere, il delegante non è tenuto ad avere SPID, non si capisce bene come il sistema acquisisca le deleghe: telematicamente a cura della PDCM che ha in capo il sistema? Tramite lo sportello – anche telematico? – di una pubblica amministrazione qualsiasi come suggerisce quel “presso gli sportelli di uno dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, presenti sul territorio“, amministrazioni che sono obbligate ad aderire al SGD. Questi però sono dettagli. A me meraviglia la facilità con cui si mette nero su bianco l’istituzione di un oggetto che, a parte i miei personalissimi dubbi sulla sua reale utilità e rispondenza alle esigenze (sono, infatti, fermamente convinto che l’azione di delega debba consumarsi e annotarsi il più vicino possibile all’azione delegata, non in un iperurano centralizzato), a una qualsiasi analisi preliminare fatta senza paraocchi, possibilmente con una consapevolezza minima, anche naif, di cosa sia una delega (diversa, per esempio, da una procura generale), dovrebbe essere evidente che il sistema SGD richiede dei prerequisiti notevoli, sia in termini di linguaggio condiviso sia in termini di interoperabilità di sistemi (che poi è sempre, anche, condivisione di linguaggi). Per dirne qualcuna: se SGD annota asserzioni del tipo A delega B a fruire del servizio S presso l’amministrazione P limitatamente alle azioni L_1, L_2, …, L_n (per come la vedo io la delega è questa, un mandato ben circostanziato al quale si associa una procura altrettanto circostanziata), occorre che il service provider (=amministrazione) P, dopo aver identificato tramite uno degli N IdP SPID (o tramite CIE) il soggetto B, interroghi anche SGD per vedere se quel soggetto sta agendo per sé o per altri in virtù di una delega che, probabilmente, lo stesso service provider P ha annotato in SGD e quindi è una delega di cui è già a conoscenza. In effetti, in teoria, leggendo il poco che ci è dato sapere, l’annotazione potrebbe averla fatta anche una amminstrazione P’ diversa da P. Allora il prerequisito minimo per SGD è avere il censimento di tutte le amministrazioni, di tutti i servizi online che offrono e delle azioni che vi si possono compiere. Oltre magari all’accesso incondizionato ad ANPR per validare i dati del delegato. Si potrebbe andare avanti e individuarne altri. Ma già questi sono da capogiro. Siamo quindi pronti per SGD? Mi unisco volentieri alla schiera dei senzienti che da tempo chiedono a gran voce di occuparsi prima delle basi che non si vedono, del back-end e del modello di dati, e poi di occuparsi di costruire o teorizzare i front-end. Ma ci torno dopo. Se fra un mesetto però un utente debole, senza accesso a risorse ICT, si presenta allo sportello per delegare un conoscente a fare operazioni online in nome e per conto suo, dovrò dirgli che siamo in attesa del decreto attuativo? La legge sta lì per cosa?

Punto 6. ANPR. Stato civile e liste elettorali sono dati da gestire in ANPR da tempo, niente di nuovo. Interessante la parte sui certificati rilasciati in via telematica, argomento sul quale era intervenuto il dl semplificazione di luglio 2020, stabilendo che, nel caso un cui un comune subentrato richiedesse ad ANPR un certificato specificando (in apposito campo della chiamata al servizio informatico preposto) che si tratta di un certificato per la trasmissione telematica (cioè, di fatto, se quel certificato non è richiesto da un addetto dell’anagrafe seduto alla sua postazione ma direttamente da un cittadino tramite un servizio online messo a disposizione dal Comune per rilasciare certificati informatici aventi medesimo valore di quelli tradizionali cartacei che hanno la firma dell’ufficiale d’anagrafe), allora ANPR rilascerebbe un certificato formato come documento informatico e munito di sigillo elettronico qualificato (del ministero). Una manna dal cielo per chi nei comuni opera nella transizione digitalebasta mettere a disposizione il certificato così come preso da ANPR, senza preoccuparsi di rinnovarne il valore documentale (cosa che allo sportello si fa con la firma dell’ufficiale d’anagrafe, con il digitale è un po’ meno immediato: per arrivare a un documento valido occorre registrarlo, metadatarlo, garantirne la provenienza, consentirne la validazione successiva soprattutto se il certificato viene stampato prima di essere utilizzato ecc.). Non è proprio così però, perché a domanda specifica, a dl pubblicato e convertito in legge, quelli di SOGEI hanno risposto che ancora stavano studiando come apporre il sigillo (e farsi carico di tutte le operazioni, non impossibili ma da coordinare fra loro, elencate nella precedente parentesi). Quindi, anche qui, si mette mano, come se si volesse rifinirlo e ritoccarlo, a qualcosa che di fatto non esiste. Non si capisce poi la questione del bollo: i commentatori ben informati leggono la disposizione come l’abolizione dell’imposta di bollo sui certificati rilasciati telematicamente (una scelta di campo per incentivare il digitale?). Un’altra lettura potrebbe essere, visto che esistono già adesso casi di esenzione dall’imposta di bollo in base all’uso che si intende fare del certificato, che ANPR rilascerà solo certificati per quei determinati usi. Prendiamo buona la lettura dei più esperti. Il bollo, nella formalizzazione di qualsiasi procedimento e soprattutto quando si tenta di digitalizzarlo, è sempre un passaggio critico, da orticaria e crisi di nervi: il bollo virtuale, ma a chi compete, chi è obbligato direttamente, chi in solido, e se pago con PagoPA, ma poi il bollo dove lo appiccico se il documento è immateriale, come riferisco il bollo a un dato documento immateriale, e l’e-bollo…? Eppure siamo tutti ligi e ossequiosi al bollo, anche quando ce ne sfugge la sua ragion d’essere, ma siamo bravi cittadini e non ci sottraiamo al pagamento dell’imposta (non evadiamo, insomma). Invece qui sale la rabbia incontrollata: sembra che, siccome è difficile inserire il processo di riscossione del bollo e applicazione sul certificato informatico (non ancora) rilasciato da ANPR, allora si elimina del tutto l’imposta sul certificato! Certo, mica ci impegnamo a risolvere il problema e magari estenderlo agli altri mille casi in cui le difficoltà legate alla marca da bollo fanno naufragare progetti di dematerializzazione! E poi, a me sorge il dubbio che sia pure una mezza bestialità giuridica esentare dal bollo un documento solo per la sua modalità di formazione e trasmissione, quando la normativa è chiara: il documento informatico è equivalente a un documento scritto (fra l’altro, a fare i pignolissimi, in teoria anche allo sportello del comune l’ufficiale d’anagrafe dovrebbe formare il certificato nativo digitale…).

Punto 7. Accesso ad ANPR. Qui sono davvero perplesso. La questione dell’uso di ANPR da parte di qualcuno di diverso dagli uffici anagrafe dei comuni è centrale, ed è, estremizzando, il vero beneficio che si può trarre dalla piataforma nazionale per l’anagrafe. La questione che i Comuni fanno fruire, a chi ne ha diritto, i dati tramite la Piattaforma digitale nazionale dati mi sfugge, ma limite mio: faranno accedere ai propri dati, immagino (però ANPR è del ministero…). Altrimenti dovrebbe pensarci il ministero. Ma la parte interessante viene dopo. Si riscrive la parte relativa all’accesso da parte di ammnistrazioni diverse dai comuni. Può sembrare una mera parafrasi della precedente versione, ma a ben vedere si è espunto il riferimento puntuale al DPCM 10 novembre 2014, n. 194 che esplicitava chiaramente che le amministrazioni diverse dai comuni (e anche gli uffici del comune diversi dalle anagrafi) accedono ad ANPR e le operazioni che possono fare (art. 5 + allegato D). Inoltre, anche qui, con la nuova formulazione, sembra che l’accesso di queste amministazioni sia cosa fatta, si fa il solito aggiustamentino in corsa perché, con l’uso prolungato, ci si è accorti di qualche limite. Ma ci torno dopo. Il punto vero su ANPR è che, semplicemente, andrebbe messo a disposizione! Gli strumenti – legislativi e tecnologici – ci sono tutti! Solo che non si capisce perché non si possa usare ANPR per ciò per cui è stato pensato. L’ho detto, oggi come oggi, tolta forse qualche interazione col mondo Agenzia delle entrate e Motorizzazione civile, ad ANPR accedono solo gli “ufficiali di anagrafe”: lo ha scritto in una circolare pubblicata sul sito ANPR il ministero stesso. Faccio qualche esempio di come l’impossibilità di accedere ad ANPR renda difficile fornire servizi online che funzionino o anche solo lavorare efficacemente:

  • iscrizione a un servizio comunale da parte di cittadino di altro comune (capita, eccome se capita), diciamo l’iscrizione alla refezione scolastica: perché mai non posso fare una visura su ANPR per validare i dati dell’utente connesso ed estrarre i dati del bambino a cui io Comune mi impegno a fornire un pasto caldo? Perché devo imporre al genitore di scrivere nuovamente i dati (il karma once-only si vede che non si applica ai dati dei familiari), accettando i rischi di errore e tutto ciò che ne consegue?
  • perché la Polizia locale non può accedere autonomamente ai dati di ANPR per le visure che gli servono e deve sempre interfacciarsi con i colleghi dell’ufficio anagrafe? Perché per la notifica dei verbali di violazione del Codice della Strada deve fare riferimento alle banche dati della Motorizzazione quando potrebbe andare direttamente alla fonte, minimizzando gli errori di notifica?

Il ministero si trincera dietro questioni di protezione dei dati personali ancora da chiarire e appianare. Qualcuno le intende come problemi di privacy nel senso di riservatezza (non che ANPR contenga così tanti segreti, direbbe un qualunquista qualunque), io ci vedrei più una protezione del dato in merito alla sua integrità e correttezza (nel senso: più apro una banca dati su internet, più la espongo ad attacchi): va da sé che un registro di anagrafe o stato civile “sballato” avrebbe ripercussioni disastrose su ogni aspetto del vivere civile (a partire dall’esistenza in vita di una persona, per dirne una ontologicamente significativa). Eppure, di fatto, tramite gli sportelli telematici messi a disposizione dei comuni sembra che, in alcuni casi, chiunque possa ottenere i dati anagrafici di chiuqnue altro (tecnicamente, infatti, è possibile): quindi, un po’ indiscriminatamente aperta al mondo la banca dati lo è. Quindi non sembra reggere nemmeno la scusa della protezione del dato (che, per inciso, è la stessa motivazione per cui i registri cartacei di stato civile tenuti dai comuni sono sottratti alla pubblica consultazione diretta indipendentemente dalla loro età, caso fondamentalmente unico nel panorama archivistico-documentale italiano).

Punto 8. Banche dati di interesse nazionale e PDND. Il tema non è il mio forte e mi limito ad osservare come l’inserzione nel CAD di una frase come “ultimati i test e le prove tecniche di corretto funzionamento della piattaforma, fissa il termine entro il quale i soggetti ...” porti a pensare che anche PDND sia un qualcosa di teorizzato da tempo ma mai entrato in funzione. Ma ci torno dopo. Bene che si ampli l’elenco delle banche dati di interesse nazionale e si indichi come prioriario il loro interfacciamento con PDND (magari ci segnalate con un segno convenzionale quali banche dati esistono e quali sono nella lista della cose da fare?).

Punto 9. Violazioni. Anche questo non è esattamente il mio forte, ma mi limito a dire che di sistemi sanzionatori scritti ne abbiamo visti tanti e di sanzioni irrogate poche, anche perché, se la legge stessa si crogiola nella sua situazione eterea di libro dei sogni da realizzare, non vedo cosa si possa sanzionare. Forse il fatto di non unirsi al sogno con adeguata convinzione? Più pragmaticamente, le minacce di sanzioni, per quanto necessarie, non sono da sole d’aiuto alla transizione digitale. Anzi, da sole, sono pure dannose, perché acuiscono la cultura adempimentale che regna sovrana nell’amminsistrazione italiana, cioè quell’atteggiamento per cui, quando c’è un obbligo, basta che formalmente si sia fatto qualcosa per adempiervi, con buona pace della sostanza. Eppure, delle regole a guida della transizione digitale che fossero effettivametne realizzabili e sostenibili, magari corredate da strumenti effettivi, sarebbe da matti non seguirle, non per amore di adempimento ma per lavorare meglio!

“Ci torno dopo”. Qualche considerazione generale sulla genesi delle regole a guida della transizione digitale.

La lunga e noiosa analisi puntuale di alcuni passaggi dell’ultimo dl semplificazioni evidenzia in più parti che si sta regolando qualcosa che, di fatto, non esiste. Questo dl istituisce di sana pianta alcuni oggetti, come il SGD, e ne riforma altri istituiti da precedenti interventi normativi ma mai divenuti operativi, come INAD o la piattaforma nazionale per le notifiche telematiche. Intanto non vedo i presupposti per decretare d’urgenza l’istituzione di qualcosa che non potrà entrare in funzione se non dopo qualche anno (osservando i dati storici), dopo che qualche organo tecnico abbia pensato a progettarlo e dopo qualche modifica al testo di legge che lo istituisce (questo dl è pieno di esempi in tal senso). L’esempio sopra riportato dei certificati di ANPR con sigillo elettronico introdotti dal dl di luglio 2020 e la risposta al riguardo di SOGEI sulla sezione di GitHub dedicata all’anima tecnologico-infrastrutturale di ANPR è emblematica: “stiamo studiando come fare”.

Quindi, soprattutto, una domanda nasce spontanea: come diavolo nascono le disposizioni di legge in tema di transizione digitale? Quando si commentano i testi di legge si parla in astratto di un “legislatore”: la scelta del legislatore, il legislatore ha inteso che ecc. Ora, anche il legislatore, di grazia, è una persona (o più di una), che vive in un contesto nel quale operano altre persone, che lo supportano, che con lui si confrontano ecc.

Restiamo sul dl di pochi giorni fa. Decreto-legge. In terza media ci hanno insegnato che è un provvedimento con valore di legge fatto d’urgenza dal Governo per rispondere a un’esigenza che chiede un intervento immediato e che non può attendere il percorso di approvazione di una legge di natura parlamentare (poi, magari più avanti, al liceo, l’eccessivo ricorso ai decreti-legge ci è stato sovente indicato come elemento di crisi di alcuni stati europoei nei secoli scorsi – ma questa è un’altra storia). Il decreto-legge, dicevamo, fatto dal Governo, che a sua volta è composto dai ministri, ciascuno con alcune deleghe. Viene quindi da pensare che nel governo ci sia un ministero che più di altri è addento alle questioni di transizione digitale. A capo del ministero c’è un ministro, un politico. Intorno al ministro ruotano un ufficio di gabinetto che lo supporta direttamente sulle questioni più strettamente politiche (intesa come scelta discrezionale) e una struttura tecnico-amministrativa (il ministero propriamente detto, formato da tecnici esperti della materia) con suoi dirigenti di livello generale, dirigenti di livello non generale, funzionari, impiegati ecc. Il legislatore quindi, a ben vedere, è qualcosa di tutt’altro che astratto.

Vengo al punto, subito, con un esempio: se il politico, a suo modo giustamente, ritiene che il problema della “delega di SPID” sia degno di essere trattato, non potrebbe, PREVENTIVAMENTE:

  • parlarne con la stuttura tecnica che collabora con lui;
  • richiedere uno studio di fattibilità;
  • valutare la fattibiltà;
  • chiedere una progettazione più dettagliata;
  • sentire anche informalmente altri rami del governo coinvolti

e, SOLO DOPO:

  • legiferare l’istituzione di una banca dati di attributi qualificati da far interoperare con l’universo mondo delle 20mila e più pubbliche amminstrazioni italiane?

Lo stesso vale per la brillantissima idea di far produrre ad ANPR certificati con un minimo di valore documentale: prima si chiede a qualcuno di farci un pensiero, di farsi un’idea di come farebbe e poi si scrive sulla legge.

Posso capire che, se ti trovi a stendere il CAD per la prima volta o a aggiornalo dopo un congruo periodo, vuoi dare una linea di indirizzo riconoscibile e allora teorizzi e ipotizzi degli oggetti che non esistono ma che vedranno la luce di lì a poco (questo immaginando che si arrivi a emanare un Codice dell’amministazione digitale dopo attenta e prolungata analisi).

Ma non lo caspisco quando si tratta di inteventi puntuali. Alle volte sembra che lo Stato scambi le leggi per delle comunicazioni interne o degli ordini di servizio!

Posso capirlo quando si intenda fare una riforma epocale o definire l’assetto istituzionale dello Stato: certo, le Regioni erano previste nella Costituzione entrata in vigore nel 1948 eppure hanno compiuto 50 anni solo nell’immediato recente. Ma è tutt’altra storia!

Concludendo: queste semplificazioni semplificano davvero la vita dell’operatore della transizione digitale? Oppure, piuttosto, continuano a non fornirgli strumenti operativi e contestualmente alimentano le aspettative della cittadinanza? O ancora, giusto per fare un esempio, se la legge mi dice che i certificati di ANPR sono “firmati” e documenti validi a tutti gli effetti ma il gestore tecnologico di ANPR non sa come fare, come può l’operatore comunale della transizione digitale suggerire investimenti per fare queste stesse operazioni?

Io intanto, nel dubbio, quando vorrò dare un nome al legislatore astratto della transizione digitale, lo chiamerò Geppetto!

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